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Diarietto Cattolico
21 Marzo 2023 By  With  0 Comment
In  Progetti

Era da un po’ che io e Giorgio Casali ci annusavamo, era destino che prima o poi facessimo qualcosa assieme. Giorgio è un poeta e lo stimo molto. Siccome ogni tanto scrive un libro di poesie ci siamo trovati davanti a una Punk Ipa per organizzare una mostra fotografica in modo da promuoverlo.

Quando decido di fare una mostra passo una serie di fasi:
1- la prima è di Grande Entusiasmo Iniziale: tante idee ma confuse, un sacco di possibilità e intuizioni, ottimismo a palate. Leggo, rileggo, mi documento, studio.
2- Dallo studio alla realizzazione, e ritorno alla realtà: mi rendo conto che tutte le idee devono scontrarsi con dei problemi tecnici di attrezzatura o di linguaggio, che trasformare dei concetti in fotografie non è semplice per un cazzo.
3- Rigetto: ma cosa cazzo avevo in testa quando ho accettato? Perchè devo rovinarmi la vita e l’estate con i miei sì del cazzo? Vaffanculo Checco, sei un idiota.
4- Tempo cuscinetto: metto insieme tutti gli elementi, rileggo, rimugino sulle cose che devo esprimere e di ogni idea ne parlo con qualcuno che penso possa darmi un parere o uno spunto furbo, cammino, cucino, faccio altro.
5- Mi dò delle regole: focalizzo il messaggio e il modo in cui lo voglio esprimere, decido il taglio, le lenti da usare, il luogo in cui scattare.
6- Faccio le foto.
7- Le riguardo a computer e decido se continuare o ripartire dal punto 4.

Per questa mostra è andata esattamente così.
Ho accettato perchè stimo molto Giorgio e non mi volevo lasciar sfuggire l’occasione di far qualcosa assieme a lui.
Il secondo motivo è che ci ho visto un’occasione per poter lavorare su di me. Ho mantenuto il mio essere in ricerca anche se non sono più praticante. La mia cultura è cattolica, ne sono stato segnato profondamente e mi sembrava una buona occasione per riaffacciarmi dalla porta di servizio, per frequentare un certo mondo, un certo modo di sentire. E poi certi segnali van sempre seguiti.

Confesso diaverci sbattuto la testa per molto tempo, perchè tradurre poesie che parlano di fede, dolore, speranza, fiducia, contemplazione, verità in fotografie è tutt’altro che semplice. A un certo punto avevo maturato un vero e proprio un rifiuto, rimandavo.
Avevo bisogno di tempo, di leggere e rileggere e far sedimentare il tutto.

Quello che dovevo fare:
– Almeno dieci foto collegate tra loro da un filo conduttore “grafico” che funzioni, che si veda che fanno parte dello stesso progetto.
– Ciascuna foto dev’essere abbastanza potente da funzionare da sola.
– Ciascuna foto dev’essere graficamente bella, abbastanza da desiderare di appenderla in casa perchè l’idea è di raccogliere fondi per la parrocchia, come offerta.

Quello che ho fatto:
– Mi son dato dei paletti: taglio verticale, perchè la preghiera è un rivolgersi verso l’alto. Di solito scatto quasi sempre in orizzontale: è comunque un cambio di approccio, anche se minimo.
– Quasi esclusivamente il 100mm (altra lente che non uso mai, di solito uso il 24 o il 50) per non avere distorsioni e il giusto schiacciamento dei piani, diaframma f4 per avere a fuoco il necessario, stessa postproduzione per tutti gli scatti. Tutte queste regoline danno un senso di continuità grafica alle foto.
– Ho dettato le poesie a mia nonna che le ha scritte in corsivo con la sua scrittura da nonna. Le ho dato dei fogli bianchi perchè volevo una scrittura libera, senza costrizioni. Le poesie sono quasi delle preghiere, e ho sempre associato la preghiera a un senso di antico: per questo ho voluto la sua calligrafia. Ha fatto degli errori ma non mi interessa, una nonna emiliana scrive “sendere” perchè “scendere” lo pronuncia così.
– Ho strappato ciascun foglietto in modo irregolare per dare l’impressione di essere parte di un qualcosa di più grande.
– Ho incollato col patafix questi pezzi di carta in giro per casa e ho cercato di capire quale fosse l’ora migliore per fotografare. Sono poesie lontane dal mio sentire quotidiano, in questo modo invece le inserisco in un ambiente che più familiare di così si muore. Gioco in casa, in tutti i sensi. Ed è anche un modo per trasfigurare casa mia e viverla sotto un’altro aspetto: un progetto nel progetto, figata!

Detta così vien da dire “è fatta”, ma (per dirne una):
“solo vorrei
lasciarmi placare”
Quante visioni evocano queste sole quattro parole?
E’ un casino.
Ho scattato tredici foto, non le appenderò tutte ma fin che ci sono preferisco farne di più e doverle scegliere piuttosto che non averle proprio.
Le ho lasciate lì una settimana. Anche loro devono sedimentare.
Oggi le ho riguardate e mi sembra che funzionino, domani si va in stampa.

In tutto questo non ho detto le due cose più importanti:
1) se la mostra non mi convince ci lavoro su finchè non capisco come farla funzionare, devo essere il primo a crederci. E allo stesso tempo non devo nemmeno farmi prendere dal troppo perfezionismo, se no non si finisce mai. E’ un equilibrio difficile fatto di stelline e cestino, bisogna mostrare solo quello che è funzionale e valido ai fini del messaggio finale.
Tutto il resto, via. Si diventa spietati, ma è necessario.
2) nell’immaginario collettivo l’artista fa quel cazzo che gli pare, segue solo la sua ispirazione e fa questa vita qui. Nella realtà l’ispirazione è una questione di regole, di disciplina e di contaminazioni, bisogna parlare e coinvolgere quante più persone possibili soprattutto nel momento in cui si raccolgono le idee. Ci sono persone che non sono fotografi, ma mi basta parlare con loro che mi si apre la testa e scopro un sacco di possibilità a cui non avevo pensato. Sono dei veri e propri catalizzatori.

Questa mostra è uno dei motivi per cui non sono andato in vacanza quest’estate. La mostra è stata installata nei sotterranei del Santuario di Fiorano (Mo) ed è rimasta aperta otto giorni, ogni sera portavo un piccolo rinfresco e dopo poco tempo è diventato una specie di salotto in cui le persone venivano solo per passare un po’ di tempo con noi. Per me è stato stupendo ?

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  • francescozenoboni

    francescozenoboni
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    Dai ginkgo ci vado sempre a piedi. Da casa mia son Dai ginkgo ci vado sempre a piedi.
Da casa mia sono circa tre quarti d'ora, è una bella passeggiata attraverso i campi. E' un modo per gustarmi l'attesa, prepararmi all'incontro.
E' tempo che dedico a qualcosa, o a qualcuno, a cui tengo molto.
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    Ordine degli Architetti di Modena 25 novembre 2022 Ordine degli Architetti di Modena
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